Lettere Missionarie

A Sant?Urbano  Cent’anni fa …

Abbiamo vissuto due anni difficili: prima la pandemia da Covid-19, che ci ha costretti a modificare molte nostre abitudini e in alcune famiglie ha colpito duramente, strappandoci persone care o costringendoci a difficoltà fisiche e psicologiche, poi, dal 24 febbraio scor- so, il conflitto scatenato dalla Russia contro l’Ucraina, che ancora non accenna a fermarsi e che ci ha fatti ripiombare nell’incubo della guerra. E poi c’è la questione climatica, anche sui nostri colli visibile con la siccità e le temperature altissime della scorsa estate ma ben più grave in altre parti del mondo, dove milioni di persone lottano quotidianamente per la sopravvivenza nell’indifferenza del mondo ricco.
Solo a considerare questi eventi davvero sembra che la storia non insegni: ripetiamo gli stessi errori e torniamo sui nostri passi. Ma, in effetti, nessuna esperienza insegna se non mostriamo la disponibilità all’ascolto, all’approfondimento, in una parola alla conoscenza. Ritornare, anche solo con qualche nota, al paese di cento anni fa può forse fornirci qualche spunto di riflessione per comprendere che anche i nostri avi hanno affrontato difficoltà im- mani. Ma com’era il paese nei primi anni Venti?

Le epidemie del 1918-19

Anche S. Urbano cento anni fa usciva da una guerra, la Prima guerra mondiale, che aveva gettato numerose famiglie nel lutto: ventidue erano i giovani della curazia partiti e mai più ritornati. Ma anche chi era rimasto a casa aveva sofferto duramente: anni di privazioni, razionamenti e asprezze avevano indebolito le persone, che già nella primavera 1918 ave- vano dovuto lottare contro la ricomparsa in provincia di casi di vaiolo. Nell’autunno poi ci si trovò a dover affrontare un nuovo e misterioso morbo. Il 9 ottobre il prefetto invitava infatti tutti i sindaci della provincia a intensificare la profilassi contro una sindrome influenzale par- ticolarmente aggressiva. Fra le disposizioni dell’ordinanza prefettizia figuravano la chiusura dei cinematografi e delle scuole (fino al 4 novembre) e l’aerazione delle chiese durante le funzioni religiose: «Durane le funzioni religiose saranno tenute aperte le finestre e le porte delle chiese» (M. Dal Lago, Valdagno 1918: dal vaiolo alla “spagnola”, in «Quaderni del
Gruppo storico Valle dell’Agno», n. 37, 2009-10, p. 75). Si trattava della prima on- data dell’influenza detta “spagnola”, perché in principio solamente i giornali del paese iberico, non coinvolto nella guerra, ne diedero la notizia, tenuta invece nascosta dagli Stati belligeranti per motivi di propaganda e or-
dine interno.
La malattia si diffuse rapidamente fra i militari e i civili e iniziò a
mietere vittime. Ne fu colpito lo stesso vescovo di Vicenza, mons. Ferdinando Rodolfi, che, ancora convalescente, indirizzava a parroci e curati una lettera con disposizioni igieniche precise e rigorose. E il morbo alla fine arrivò anche a S. Urbano. A tal proposito il curato, don Ippolito Porra, annotava nel Libro cronistorico in quei mesi: «Serpeggia e infierisce dovunque un’epidemia influenzale, in S. Urbano in forma benevola con
pochi casi letali, circa dieci».
Riguardo alla “spagnola”, la situazione in provincia migliorò nei primi mesi del 1919, ma in giugno don Ippolito tornava a scrivere che un’epidemia, non sappiamo se della stessa malattia, aveva colpito la curazia in occasione della ripresa dei lavori alla chiesa.

La nuova chiesa

Se gli anni 1918-19 furono segnati, oltre che dai postumi della guerra mondiale, anche dall’epidemia di “spagnola”, che fece decine e decine di milioni di morti in Europa, gli anni 1919-
10  20 videro la comunità di S. Urbano lavorare alacremente, grazie soprattutto all’energia profusa da don Ippolito, per completare la nuova parrocchiale, i cui lavori erano iniziati nel dicembre 1912 ma avevano incontrato difficoltà a causa della guerra. La cronistoria, redatta dal curato in quegli anni e di cui nel 2020 la parrocchia ha pubblicato ampi estratti, ci testimonia i suoi sforzi per completare l’opera: nel giugno 1919 don Ippolito arrivò persino ad avvicinare il generale Maglietta, comandante del Genio della 6° Armata, e a ottenere da lui l’invio di due camion che fecero venti viaggi per trasportare materiali da costruzione. L’entusiasmo del curato si propagò, suscitando «un’onda di gara tra i curaziani e di fiducia di veder presto ultimata la chiesa». Fra le opere completate in questo
periodo vi furono la copertura del coro, la costruzione della sagrestia e delle navate laterali. Con la primavera successiva i lavori, sospesi per la stagione invernale, ripresero: furono realizzati i serramenti, posati i pavimenti e si provvide al trasferimento degli altari e delle suppellettili dalla vecchia chiesa. Infine, il 16 maggio 1920 ebbe luogo l’inaugurazione del nuovo tempio, con celebrazione presieduta dal vescovo Rodolfi. Nonostante le privazioni e le difficoltà, la comunità, guidata dal suo pastore, aveva dato prova di unità e forza d’animo. Leggiamo ancora nella Cronistoria: «Il nuovo tempio si erge maestoso in punto centrale della curazia ed è visibilissimo per candore della copertura in eternit dal piano e dai colli an- tistanti. La popolazione è orgogliosa dell’opera monumentale compiuta e affretta il solenne e santo rito, corona di tanti immensi sacrifici».

Le elezioni politiche del 1919 e del 1921

Un’ultima riflessione si può fare in merito al contrastato periodo politico che dalla fine dalla Prima guerra mondiale, passando per le occupazioni delle fabbriche del 1919-20, condus- se progressivamente all’affermarsi del fascismo, che si impose con la violenza e la paura. Don Ippolito infatti annotò i risultati di due importanti elezioni politiche del primo dopoguer- ra, quella del 1919 e quella del 1921. I votanti nel primo caso furono 217, nel secondo 261. In entrambe le tornate elettorali il partito popolare, fondato da don Luigi Sturzo, ottenne in
paese una maggioranza schiacciante: 174 voti nel 1919 e 239 nel 1921; i socialisti otten- nero nel 1919 25 voti, soltanto 13 due anni dopo (e forse per intervento del curato, che nel 1919 si era lamentato, commentando i risultati, di un’affermazione socialista troppo alta); infine nel 1921 9 voti andarono al Blocco nazionale, un raggruppamento di destra compren- dente anche i fascisti.
Le note di don Ippolito relative alla politica si fermano qui. Solo tre anni dopo, nel 1924, si sarebbero tenute altre elezioni. Furono le ultime dell’Italia liberale. Poco dopo, con l’assas- sinio del deputato socialista Giacomo Matteotti, il fascismo avrebbe mostrato ancora una volta il suo carattere violento e antidemocratico, che del resto lo aveva sempre caratteriz- zato. Col 1925-26 si instaurava in Italia la dittatura vera e propria, quella che, dopo aver pri- vato il paese delle libertà fondamentali, lo avrebbe condotto ad aggredire l’Etiopia, avrebbe emanato le leggi razziste e infine condotto, a fianco della Germania nazista, al disastro della Seconda guerra mondiale.
Michele Santuliana

Missionari sostenuti dal Gruppo Missionario
“Strassari di Dio” – P. Roberto Tadiello

P. Roberto Tadiello nasce a Praissola di S. Bonifacio, in provincia di Verona ma in Diocesi di Vicenza, nel 1928. Giuseppino del Murialdo, compagno di studi di P. Luciano Marchetto, giunge in Equador nel 1946.
Nel 1956, in Italia per un periodo di riposo in famiglia, viene invitato dalla Comunità di S. Urbano a celebrare una S. Messa solenne nello stesso giorno in cui P. Luciano Marchetto, originario di S. Urbano, viene ordinato Sacerdote in Equador. È il 12 febbraio 1956. “Da quel giorno – afferma lo stesso P. Roberto in uno scritto inviato di recente al Gruppo – posso dire di essere stato adottato dal Gruppo Missionario di S. Urbano che, generosamente e fino al giorno d’oggi, mi ha aiutato con la preghiera e una offerta annuale”.
In seguito P. Roberto prosegue la sua missione in varie Comunità: lasciato l’Equador, per sei anni è in Spagna e, tra il 1967 e il 1976, in Italia, presso il Patronato S. Gaetano di Thiene, in provincia di Vicenza. Come rivela egli stesso, è un periodo molto importante, in cui, fra i molteplici ambiti di apostolato, collabora attivamente con il centro di formazione professionale ancora oggi attivo. Scrive P. Roberto: “Mi trovai improvvisamente in un’opera giuseppina di molteplici impegni di apostolato: ha significato soprattutto la scoperta dei Centri professionali, che non avevo mai conosciuto prima e che non
esistevano ancora in Ecuador né in Spagna”. Forte di questa esperienza, nel 1976 P. Roberto ritorna in Equador e diviene il primo direttore del Centro di formazione artigianale “González Suárez” di Ambato, nella zona centrale del paese. Ad Ambato rimane fino al 2001, sviluppando e dirigendo opere in favore di giovani apprendisti in scuole professionali e tecniche. Nel 2001 è trasferito a Salinas, dove svolge il suo apostolato in un altro centro giuseppino per giovani apprendisti figli di gente povera.
Oggi, a 88 anni compiuti, è collaboratore parrocchiale a Salinas. I frutti dell’impegno svolto da P. Tadiello come da tanti altri missionari sostenuti dal Gruppo si vedono oggi. Scrive infatti P. Roberto: “I risultati sono confortanti: lo indicano i rapporti dei giovani o al lavoro quando ci incontrano e si sperimenta la loro soddisfazione dell’educazione ricevuta e come ricordano tanti piccoli dettagli che sono incisi nel loro cuore e la gratitudine verso i loro educatori. Rivivendo il passato della mia vita ringrazio il Signore per la bella esperienza pastorale e del lavoro svolto in questi 55 anni che mi permisero
sviluppare e dirigere opere in favore di giovani apprendisti in scuole professionali e tecniche”.

1956-2016 La Cronoscalata festeggia i sessant’anni

SESSANT’ANNI: è questo l’importante traguardo raggiunto dalla tradizionale
Cronoscalata che anima la sagra di S. Eurosia a S. Urbano. Gioie, fatiche, entusiasmo e grandi emozioni hanno caratterizzato questi decenni, sancendo il successo di una manifestazione che nel più autentico spirito sportivo ha saputo diventare un punto di riferimento per la sua categoria, coinvolgendo società, atleti e moltissimi volontari che nel corso del tempo hanno dato il loro contributo. Ne è passato di tempo dal lontano 1956, quando sedici volenterosi concorrenti si cimentarono nella prima arrampicata
dal piano al paese: salirono attraverso la strada della Ghisa, allora completamente sterrata, passando in mezzo ad una folla festante. Nelle fotografie scattate al termine della gara vediamo volti soddisfatti ed orgogliosi; accanto ai concorrenti fanno bella mostra le biciclette, qualcuna da corsa, altre decisamente meno adatte all’attività agonistica. Del resto gli anni della Seconda guerra mondiale non erano lontani, la povertà era ancora tanta; eppure, nonostante ciò, entusiasmo e voglia di ripartire animano concorrenti e organizzatori ritratti. Anche S. Urbano, come l’Italia intera, si risollevava attraverso lo sport.
La corsa fu la grande novità dell’edizione 1956 della sagra, come riportano i documenti dell’archivio parrocchiale: «…e si arrivò alla grande novità, “La corsa a cronometro Ghisa – Centro”, sedici furono i concorrenti che quest’anno iniziarono a partire dalle ore 15.30 ad intervalli regolari di due minuti. Quasi tutti i concorrenti (fra i quali i nostri Eugenio Tecchio e Placido Cozza) giunsero provati, ma tutti portarono a termine la loro fatica, fra due ali fittissime di folla e il fracasso prodotto dal cronista che gracchiava col suo altoparlante sul rettilineo d’arrivo».
Ad aggiudicarsi la prima edizione della Coppa S. Eurosia fu il corridore Stocchero, seguito da Dalla Pozza, Casoli e Cerato. L’edizione successiva fu invece vinta da Imerio Massignan,destinato ad una brillante carriera sportiva a
livello professionistico. Altre date memorabili furono il 1968, quando Remo Seganfredo stabilì un record di salita destinato a rimanere imbattuto a lungo, e il 1984, quando Gualtiero Valenti si impose con nuovo record di 9 minuti e 27 secondi; infine, nel 1990 il record fu portato sotto i 9 minuti, precisamente a 8 minuti e 58 secondi. A riuscire in questa impresa fu Giancarlo Peruzzi, superato solo nel 2014 da Andrea Ponalto, che ha fissato il record di salita, attualmente imbattuto, a 8 minuti e 53 secondi. Al trofeo originario si sono aggiunti negli anni altri riconoscimenti: a partire dal 1979 viene infatti assegnato il Trofeo Calpeda Pompe, offertodall’omonima azienda, sponsor ufficiale della manifestazione, e dal 2010 il Gran premio della Montagna Balzarin Giovanni, cronometrato davanti alla Chiesa di S.S. Trinità.
Da ormai molti anni il percorso di gara non segue più la strada della Ghisa. A partire dalla località Valle di Montecchio, l’attuale tracciato sale attraverso Via salita S.S. Trinità, attraversa il centro dell’omonima frazione, quindi procede attraverso il Covolo Alto per giungere a S. Urbano dalla contrada Riosecco. Entrati in paese, i corridori si lanciano in velocità nella discesa finale, svoltano
per Via P. Giovanni Schiavo, attraversano la piazza della vecchia chiesa e risalgono fino all’arrivo, posto lungo la strada che fiancheggia la chiesa parrocchiale.
In tutto si tratta di 4,6 chilometri, con un dislivello totale di 154 metri.
Questi sono alcuni dei numeri della corsa. Ma cosa dire della tante emozioni regalate nel corso dei decenni? E cosa ci riserverà l’edizione di quest’anno? Non ci resta che stare a vedere, porgendo un caloroso augurio di buon anniversario alla Cronoscalata e a tutti i suoi partecipanti, passati, presenti e futuri, nonché un ringraziamento a tutti coloro che negli anni, a vario titolo, hanno organizzato e sostenuto la manifestazione.
Avanti dunque con un nuovo decennio, avanti sicuri verso il Settantesimo!